Ravioli col brasato o Ânlòt ch’u stüfá?

11 Gennaio 2025

Sono la stessa pasta ripiena? Quali sono i tradizionali dell’Oltrepò Pavese? Cercare di dare risposte, rischia di condurre in un ginepraio dal quale è difficile uscire.
C’è chi afferma che si tratta della stessa preparazione, chiamata diversamente secondo la regione geografica di produzione e consumo. Questi ritengono che il raviolo sarebbe così chiamato perché concepito a Gavi Ligure da un cuoco di cognome Ravioli (appellativo di famiglie ancora esistenti in zona). Altri attribuiscono la “differenza” al ripieno, che vorrebbe l’agnolotto con la carne e il raviolo con verdure o formaggi, tesi smentita da altri e dai fatti (gli stessi agnolotti piemontesi, in alcune zone, prevedono l’aggiunta di scarola, bietole o spinaci).

Curiosando nell’ “Artigianato Alimentare” edito nel 2004 da Michelangelo Carta,si legge: “Etimologicamente, per “raviola” si è ipotizzata la derivazione da un antico “graviola”, cioè “gravida”, ma non è del tutto da escludersi un più prosaico “raviolà”, che dà l’idea del ripieno sensualmente e giocosamente arrotolato, avvoltolato nella sfoglia…”. Suggestivo, non c’è che dire.

Un’altra “differenza” sarebbe stata identificata nel metodo di preparazione. Gli agnolotti sarebbero preparati disponendo mucchietti di ripieno su un rettangolo di pasta al quale ne viene sovrapposto un secondo facendoli combaciare perfettamente. Separati con la rotella dentata, si ottengono quadrati tagliati sui quattro lati. I ravioli, invece, si otterrebbero distribuendo i mucchietti di ripieno, sempre ugualmente distanti tra loro, leggermente ravvicinati a uno dei lati lunghi del rettangolo di pasta che, ripiegato e tagliato, si trasforma in quadrati “aperti” solo su tre lati.

C’è poi chi ha “osato” definire gli agnolotti o ravioli come il piatto tipico del lunedì, quello che si approntava per riciclare gli avanzi di carne e verdure del giorno festivo. Ma anche questa affermazione ha fatto gridare allo scandalo molti altri, sostenitori dell’agnolotto protagonista delle grandi occasioni.

Anche sul ripieno c’è poi da ridire: brasato e stufato non sono sinonimi, e proprio nei nomi sta una prima differenza che rimanda al modo di cottura. Il brasato, originario del Piemonte, era cotto in pentole di coccio appoggiate sulle braci (brasi), mentre la cottura dello stufato si otteneva in pentole di ghisa posate sulla stufa. Importante è poi il diverso taglio delle carni scelte. Per il brasato si usa un pezzo grande di carne di manzo, vitello o maiale, che, dopo la rosolatura, lasciato cuocere a lungo e molto lentamente, si presenta con la crosticina esterna e morbido all’interno. Per lo stufato, la carne (molto spesso anche bianca, di coniglio, faraona, pollo), dopo la marinatura, è affettata o tagliata a cubetti.

L’Oltrepò è terra grande e di confine. Non stupisce, dunque, che da Varzi (storica patria dei ravioli), alla Valle Versa (dove i puristi della tradizione si ostinano a preparare gli Ânlòt ch’u stüfá ), ogni paese abbia il proprio rituale di lessico e di mani in pasta.