Un’interessante trasmissione radiofonica, nell’ormai scorso mese di dicembre, ha approfondito il rapporto ancestrale tra il cibo e le religioni tutte. Dalla notte dei tempi. Di simbolismo in simbolismo, anche l’Oltrepò ha valorizzato la tradizione locale con gli appuntamenti del periodo delle feste che, tra sacro e profano, mettono il cibo, non solo al centro della tavola, ma anche al centro dell’essere comunità, quale veicolo di attenzioni per gli affetti, la vita, la natura.
Gennaio, mese più freddo dell’anno, nonostante la tendenza moderna a seguire diete per scaricare la coscienza dalla colpa di aver mangiato un poco di più, è sempre stato, nella cultura contadina da cui tutti discendiamo, un mese dell’abbondanza. Si uccideva il maiale, usanza che per alcuni in Oltrepò, terra di contadini per antonomasia, è rimasta irrinunciabile (almeno fino al 2022 quando le misure contro la peste suina l’hanno vietata). Il rito raggiungeva il suo apice il 17 gennaio, festa di Sant’Antonio Abate che l’iconografia ci ha reso, opportunamente, con l’immancabile maialino ai piedi.
Ancora una volta, di simbolismo in simbolismo, potremmo pensare ai cotechini e agli zamponi accompagnati dalle lenticchie come cibo beneaurale nel passaggio all’anno nuovo, soffermandosi, perché no, anche sulla forma del salvadanaio.
Carni, quindi, polente, ma pure le tante buone verdure di stagione (broccoletti, verza, cavolfiori, cavoletti di Bruxelles, rape, cipolle, finocchi, indivia riccia, porri, cardi, i primi carciofi mammole, detti romaneschi, carote, radicchio, spinaci…). stimolano la fantasia di cuochi e chef che, anche a gennaio, si cimentano, ognuno secondo il proprio stile, nell’interpretare ciò che la natura, generosa in ogni mese dell’anno, e la cultura mettono a disposizione.