Lâ senâ di sèt sén
Nel 2012, la cena delle sette cene, recuperata dall’impavida ricercatrice culinaria Piera Spalla Selvatico, nel suo ristorante, ha ottenuto la De.co. dal Comune di Rivanazzano, diventando appuntamento irrinunciabile, senso di appartenenza a una comunità.
Nella cultura contadina oltrepadana, era la cena dell’antivigilia di Natale che precedeva il digiuno della vigilia. Rigorosamente di magro, almeno nella versione della Valle Staffora perché pare che, in Valle Versa, il menu concedesse qualche salume (o forse è una licenza della moderna, sempre più laica interpretazione?), sette erano le portate che componevano il menu, come i peccati capitali, i giorni della creazione, le ore di luce in inverno, le note musicali, le virtù teologali, i doni dello Spirito Santo, i sacramenti, i colori dell’arcobaleno, le piaghe d’Egitto, i Samurai… E, ancora, dal dialetto di queste parti, südà sèt câmìs (sudare sette camicie) e vès sémpâr int’âl câmp di sèt pèrti (essere sempre nel campo delle sette pertiche, che si dice di una situazione senza via d’uscita.
Ogni elemento era considerato strumento terapeutico valido per tutto l’anno; tutto era magico e significativo, in un intreccio di simbologie pagane.
Gli ingredienti erano quelli poveri della cucina contadina, presenti in ogni casa ma che, mescolati
per l’occorrenza, accostati tra loro, assurgevano, nella magia dei giorni, a simbolo, tra il sacro e il
profano:
- La sacralità del pane era data anche dal segno di croce tracciato con la lama del coltello sull’impasto prima della lievitazione. La torta di zucca, con il suo colore, rappresentava il sole, che sembrava essersi materializzato rendendola ricca di energia e capace di nutrire non solo il corpo.
- L’aglio e la cipolla, capaci di allontanare gli spiriti malefici, erano presenti nell’insalata preparata per l’occasione, nelle cipolle ripiene e nel sugo dell’“âjà” (agliata) usato per condire le tagliatelle. E queste ultime dovevano essere tagliate larghe per poterle chiamare “fasce del Bambino”.
- Le noci, ingredienti di base del sugo, indicavano prosperità e fecondità, mentre l’uvetta, presente nel merluzzo, è simbolo di abbondanza e rendeva importante un piatto povero…
Alle ore 20 del 23 dicembre, al Ristorante Selvatico, si ripete il rito, ormai diventato tradizione nella tradizione, che da oltre 40 anni riunisce amici e conoscenti, quasi sempre gli stessi, a volte manca qualcuno, e tutti a chiedersi come mai, a volte arrivano altri ed è sorpresa gioiosa.
Questo il menu:
- Insâlàtâ âd bidràv, püvrón e inciùd
Insalata di barbabietole, peperoni e acciughe - Turtâ d’sücâ
Torta di zucca - Sigùl cul pen
Cipolle ripiene - Fas dâ Bâmbén cun l’âjà
Fasce del Bambino con l’agliata - Mârlüs cun l’üvâtâ
Merluzzo con l’uvetta - Furmâgiâtâ cun mustàrdâ
Formaggetta con mostarda - Per giâsö cöt cun i câstégn
Pere ghiacciolo cotte con le castagne
Mirella Vilardi