Montesegale

Val Ardivestra

Immettendosi nella Valle Ardivestra, a stupire, da subito è la differenza di colture. Le viti quasi spariscono e i colli, pendii appena accennati, si ricoprono di boschi ed ampie distese di cereali. Lenzuoli adagiati, dei colori che la stagione in corso stabilisce, dal verde tenero della primavera, al giallo oro dell’estate, al marrone cupo di zolle rivoltate, fino al bianco immacolato della neve. Non è raro vedere, da queste parti, le file di cassette colorate di alveari. È una zona prediletta dagli apicoltori che, dalle distese delle coltivazioni e dalla tipicità dei boschi, riescono a ottenere mieli uniflorali di grande qualità.

A perenne guardia della valle, da oltre mille anni, è il castello di Montesegale. Sovrasta con la sua mole lo scenario naturale di mandorli e boschi di castagni, proprio dove il torrente Ardivestra disegna una grande curva. Percorrendo la provinciale, la visione offerta è particolarmente  suggestiva, ma sicuramente nei secoli passati la collocazione del castello fu determinata più da favorevoli condizioni orografiche e difensive che estetiche. Scenario di vari episodi bellici, il castello di Montesegale, insieme a quello di Stefanago e di Montalto Pavese disposti a ferro di cavallo proprio a protezione delle valli Coppa, Schizzola e Ardivestra, è oggi uno dei meglio conservati in Oltrepò. Già noto nel XI secolo, fu antico possesso del vescovado tortonese.

Fu infeudato ai Gambarana di Langosco a cui rimase fino al XVIII secolo. Dal 1971, l’attuale proprietario, famiglia Jannuzzelli, molto ha fatto al fine di ripristinare la maestosa struttura, sostituendo o restaurando parti murarie, il selciato del cortile interno, il terrapieno, divenuto suggestivo anfiteatro all’aperto, vero luogo di cultura che ospita concerti, allestimenti operistici e mostre d’arte.

Nella luminosa ed emozionante sala espositiva, hanno sostato, viandanti del nostro tempo, Salvatore Fiume e Giovanni Testori, Alberico Sala e Giuliano Gramigna, Raffaele De Grada e Curzia Ferrari… Senza rischio di contraddizioni sono passati tra queste mura l’informale materico, l’astrattismo, l’esasperazione espressiva, le sperimentazioni ottiche. Un esempio di utilizzo dotto della storica struttura, mastodontica e un po’ fiabesca, ricca di un fascino irresistibile che sembra risvegliare ogni inclinazione all’arte e al bello. Era stato scelto, per decenni, come luogo-rifugio dove lavorare ispirati, da Raffaele De Grada, notissimo critico d’arte, e dalla moglie Maria Luisa Simone, pittrice. Per lunghi periodi dell’anno abitavano un  piccolo rustico adiacente alle scuderie e qui l’uno scriveva e l’altra dipingeva, ispirata dai vivi colori della campagna intorno.

Anche Montesegale, come altri comuni dell’Oltrepò, è frazionato in molti piccoli abitati sparsi in tutta la valle. Sanguignano, Languzzano, Zuccarello, sono piccoli borghi ormai vissuti a singhiozzo nelle numerose “seconde case” ma che hanno mantenuto intatta la fisionomia contadina e ancora trasudano semplicità e amenità. Nel capoluogo è degna di una visita la chiesa parrocchiale intitolata ai santi Cosma e Damiano che custodisce una statua lignea di pregevole fattura raffigurante la Madonna del Rosario.

E senza voler cadere nel più prosaico dei sentimenti, ma per meglio capire le sfumature del luogo, è d’obbligo, in località Fornace, una sosta al salumificio di Piero Magrotti. Montesegale, è, di fatto, uno dei quindici comuni previsti dal disciplinare, autorizzati a produrre il Salame di Varzi Dop. Fermarsi qui, dunque, oltre al piacere dell’assaggio di una buona fetta abbinata a buon Bonarda, può trasformarsi in una vera e propria lezione sulle tecniche di lavorazione e stagionatura, sulla differenza tra filzetta e cucito, sul perché il salame di Varzi è così buono e si distingue da ogni altro nel mondo. Piero è un appassionato e dispensa il suo sapere e la sua arte con generosità.

È bello attardarsi alla sua tavola con miccone, salame e vino, giusto per arrivare all’ora del tramonto, il momento migliore per fermarsi a visitare, sulla provinciale, ma già in comune di Rocca Susella, la pieve romanica di San Zaccaria. Risale all’anno 1000 e, nonostante le numerose trasformazioni subite nel corso dei secoli, l’edificio testimonia egregiamente il romanico padano. Non manca di affascinare per l’essenzialità delle sue linee e per la scarna, geometrica, scelta decorativa della facciata sulla quale si alternano fasce di arenaria e mattoni a vista. Unico vezzo, due semplici rosoni al centro. Telefonando per tempo alla Pro Loco o al Comune di Rocca Susella, è possibile programmarne la visita interna. Allora, il fascino delle tre navate, delineate da pilastri articolati, alcuni sormontati ancora da capitelli in arena scolpiti con figure allegoriche, può indurre a pensare che questa pieve, da sola, è valsa il viaggio.